piante di canapa sativaLa coltivazione di canapa in Italia è avvolta da un insieme di diffidenza e timore: c’è chi pensa che sia illegale e chi crede servano permessi molto difficili da ottenere. La recente sentenza della Corte di Cassazione ha contribuito ad alimentare queste incertezze.

In questo contesto diventa utile e importante fare chiarezza, andando a esaminare il quadro normativo italiano.

Oggi coltivare canapa è legale, anche se le leggi prescrivono di impiegare varietà a basso THC e occorre comunque darne comunicazione alle forze dell’ordine. Con queste semplici condizioni possiamo coltivare nel pieno rispetto della legge sia a livello professionale che hobbistico.

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La pianta di canapa sativa. Scopriamo le caratteristiche botaniche della canapa, le varietà e le proprietà di questa specie straordinaria.

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La legislazione italiana sulla coltivazione di canapa

In Italia è consentito coltivare la canapa a condizione che vengano utilizzate le varietà ammesse nell’Unione Europea (Registro Europeo delle Sementi), con un tenore di THC (Tetraidrocannabinolo) inferiore allo 0,2% e che sia seguita la procedura stabilita dalla Circolare del MIPAAF n.1 dell’8.5.2002.

Il documento definisce la varietà e gli obblighi di comunicazione delle colture nella caserma dei Carabinieri – Corpo Forestale dello Stato del territorio d’appartenenza. Si tratta di una semplice comunicazione, di cui le forze dell’ordine si limitano a prendere atto, non bisogna aspettare un permesso.

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In una circolare del Ministero dell’Interno, datata 31 luglio 2018, viene precisato che le infiorescenze della canapa con tenore superiore allo 0,5% di THC sono inserite nella nozione di “sostanze stupefacenti”, rientrando così nelle sanzioni previste dalla legge che disciplina stupefacenti e sostanze psicotrope (testo unico 309 del 1990). E quindi, con ricadute nel penale.

Di fatto però oggi (articolo datato giugno 2019) non servono permessi o autorizzazioni particolari per coltivare la canapa, a condizione che si rispettino le regole appena elencate (utilizzare varietà consentite e comunicarlo alle forze dell’ordine). Quindi è possibile cominciare a coltivare legalmente senza grandi difficoltà, sia come azienda agricola che come privato.

Addirittura la legge italiana promuove la coltivazione di canapa e la incoraggia per via del suo effetto positivo a livello ecologico. Nel 2016 infatti è stata approvata la legge n. 242 per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa (cannabis sativa) quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, e come coltura da impiegare in qualità di sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione.

coltivazione di canapa italiana

Commercializzare della canapa e prodotti derivati

La commercializzazione della canapa ad uso alimentare è consentita esplicitamente. Una Circolare del Ministero della Salute del 22 maggio 2009 – Direzione Generale della Sicurezza degli alimenti e della Nutrizione – ha divulgato alcuni chiarimenti circa la produzione e commercializzazione di prodotti a base di semi di canapa per l’utilizzo nei settori dell’alimentazione umana, anche in relazione alla legislazione comunitaria vigente (regolamento CE 258/97 sui nuovi prodotti ed ingredienti alimentari).

Recentemente però una sentenza della Corte di Cassazione ha messo in discussione la legalità della cannabis sativa.

Questa sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, datata 30 maggio 2019, vieta “la commercializzazione di cannabis sativa e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio (di CBD, non quello a uso alimentare), resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa. Il dispositivo specifica che questo non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole”.

Incertezza e problemi aperti dalla sentenza di maggio 2019

La sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di fatto non modifica nulla rispetto alle normative precedenti e lascia ancora ai tribunali la valutazione, caso per caso, dell’efficacia drogante della cannabis oggetto di sequestri.

canapa coltivata in ItaliaTuttavia, come ci spiega Claudio Natile di Canapuglia, ha suscitato un allarmismo nel mercato, con danni economici importanti per gli operatori. Sui media si è parlato molto di questa sentenza, troppo spesso in modo superficiale e poco informato, alimentando i timori.

“Per fare soltanto alcuni esempi – spiega il presidente di Canapuglia – una delle più grandi aziende che producono cosmetici a livello nazionale, ha perso, in soli tre giorni, cinquemila euro di fatturato, oltre ad aver subito l’annullamento di ordini futuri. Un agricoltore della provincia di Bari ha distrutto – per paura di perdere ulteriori investimenti – due ettari di coltivazione di canapa, finalizzata all’estrazione di CBD (cannabidiolo), che sarebbe stata lavorata in Italia nel neonato stabilimento di Ragusa, nel quale una multinazionale canadese ha investito, nel 2018, ventiquattro milioni di dollari proprio per la trasformazione delle infiorescenze in olii, cristalli di CBD e alimenti, ottenendo tutte le autorizzazioni necessarie”, prosegue Natile. “Un giovane barese, che da poco ha costituito un’azienda agricola, anche grazie alla consulenza di CanaPuglia, ha dovuto fermare l’acquisto di strumenti utili alla produzione, bloccando dunque di fatto l’indotto”. E chiarisce: “Questo significa non accendere un conto corrente presso le banche, non aprire partite Iva, non assumere personale, non affittare o acquistare il locale sede del progetto, non versare contributi e tasse, e così via”.

Canapuglia, insieme ad altri operatori, ha stimato il danno economico in Italia, in sole 72 ore, di oltre dieci milioni di euro.

A creare il danno “non è la sentenza della Suprema Corte ma la percezione incolpevole del consumatore, che innesca il meccanismo di ‘autoprotezione’ – conclude Natile – e si traduce in mancati acquisti e nell’allontanamento dai prodotti legati a un mercato fiorente entrato nella quotidianità degli italiani, dai cosmetici, alle farine, agli olii e molto altro, tutti derivati dalla canapa riconosciuti da organismi internazionali come l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità). La responsabilità, infatti, sta nel non disciplinare correttamente e per intero la filiera. Ecco perché è necessario completare la legge”.

L’auspicio è di poter aggiornare presto questo articolo con notizie migliori: sarebbe importante che le istituzioni facciano maggior chiarezza, per tutelare un settore in cui molti imprenditori, spesso giovani, hanno investito e che può portare lavoro e benessere al nostro paese.

Articolo scritto da Matteo Cereda con il contributo tecnico di Claudio Natile di Canapuglia, esperto in coltivazione della canapa.

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