Trovate spesso scritto sulle bustine di semi che trovate nei vivai “IBRIDO F1”, questa dicitura indica che si tratta di piante ottenute tramite un lungo lavoro di selezione da aziende che hanno gli strumenti e le competenze per mettere sul mercato nuove varietà. Vengono anche vendute come vantaggiose perché possono dare frutti belli e numerosi.
Su Orto Da Coltivare trovate già un articolo sul tema delle varietà ibride F1, in cui si spiega di cosa si tratta, qui di seguito approfondiamo il tema, evidenziando meglio dove sta l’inganno.
Lo scopo non è demonizzare le varietà selezionate in questo modo, ma avere consapevolezza di cosa comporta questa modalità di selezione.
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I problemi derivati
Il problema degli ibridi F1 è che sono piante completamente dipendenti dall’uomo: sono in grado di produrre frutti esteticamente appaganti e abbondanti a patto che vengano usate molte risorse esterne e molto lavoro per farle crescere.
Questo lavoro in ottica di agricoltura professionale viene svolto da macchine motorizzate, ed è quindi a basso costo, ma in termini ambientali il prezzo da pagare è un maggior impiego di energia derivata dal petrolio.
Qualcuno potrebbe obiettare che il fatto che abbiano bisogno di tanti input esterni non è un problema di per sé, in realtà l’uso delle varietà industriali ha portato indirettamente altri problemi: la perdita di biodiversità, il consumo di suolo, l’inquinamento del terreno, delle acque… Tutto ciò ha conseguenze economiche, sociali, culturali sulle quali non mi soffermerò.
I 3 problemi con la selezione commerciale
Selezionare piante non è per forza sbagliato, fino a quando lo facevano gli agricoltori localmente, per la loro sussistenza non c’erano problemi. Vediamo perché l’attuale selezione da laboratorio porta delle problematiche.
Un criterio di selezione esclusivamente commerciale
Il criterio con cui vengono selezionate le varietà ai giorni nostri è prettamente commerciale: le piante devono produrre frutti belli e in grande quantità. Devono inoltre essere piante adatte all’agricoltura coi macchinari, ad esempio devono avere un’altezza standard e i frutti devono maturare tutti assieme, devono essere adatte alla conservazione, al trasporto.
Semplificando, il processo di selezione è il seguente: si ricercano singolarmente i caratteri desiderati su linee di piante diverse. Una volta ottenuta la pianta che produce molto e la pianta coi frutti belli si incrociano fino ad ottenere la pianta che presenti i due caratteri contemporaneamente. Da qui il nome “ibrido F1”, una varietà di prima generazione.
Come già detto i caratteri sono selezionati col criterio commerciale. Se la pianta coi frutti belli è debole e tende ad ammalarsi o la pianta che fa molti frutti, ne fa troppi e tende a non farli maturare, qual è la soluzione? Diamo tantissimo concime e usiamo antiparassitari. Non solo non è un problema ma per le aziende è un’opportunità: così potranno vendere anche quei prodotti! Ecco cosa si intende per criterio commerciale. Al consumatore sembrerà di aver fatto un affare.
Un ambiente più fragile
Un altro problema è la diffusione. Gli ibridi F1 sembravano essere convenienti, un po’ perché inizialmente le piante non si ammalavano tanto, un po’ perché i terreni erano più fertili. Con la loro diffusione si sono moltiplicati i loro parassiti, mentre gli antiparassitari hanno iniziato a perdere di efficacia (i parassiti si sono adattati). Il concetto “in un campo di cavoli devono esserci solo cavoli” ha reso l’ambiente fragile e il suolo ha iniziato ad impoverirsi. L’agricoltura industriale ha creduto per molti anni che per fertilizzare il suolo bastasse mettere quei composti chimici che servivano. In realtà non è così. Un suolo per essere fertile ha bisogno della vita: delle interazioni fra piante, microrganismi, insetti, lombrichi, funghi, come abbiamo visto parlando di EM e di micorrize. Più all’interno di un terreno c’è vita e diversità, più questo sarà stabile nel tempo e resiliente, capace dunque di resistere agli imprevisti. La diversità è l’unica vera ricchezza. La biodiversità va garantita anche nel soprassuolo diversificando le colture e, perché no, lasciando delle zone selvatiche, con vegetazione spontanea. Questi punti cardine dell’agricoltura biologica mal si sposano con la logica dell’agricoltura industriale, sulla quale sono modellate le varietà dei semi F1.
L’uso di energia da petrolio
La disponibiltà del petrolio è un altro problema. L’agricoltura industriale sarebbe del tutto sconveniente se non fosse per il petrolio che sostanzialmente garantisce tantissima energia ad un prezzo basso. Vandana Shiva nel suo libro “Soil Not Oil” sottolinea come l’agricoltura industriale non sia per nulla efficiente: “usa 10 chilocalorie derivate da input esterni per produrre 1 chilocaloria di cibo. In un sistema ecologico invece possiamo usare 1 kcal per produrre 10 kcal di cibo! Abbiamo bisogno di ridefinire efficienza e produttività in agricoltura”. Essa è economicamente vantaggiosa per i produttori, ma questo non significa efficienza. Il petrolio sta alla base del lavoro meccanico nei campi, della produzione di concimi e pesticidi, della diffusione delle merci su lunga distanza. Senza il petrolio saremmo obbligati ad un’agricoltura più lenta.
Con questi tre punti ho cercato di andare alla radice del problema con gli Ibridi F1. Gli OGM amplificano ulteriormente questi fattori.
Possibili alternative agli ibridi
Tornare ad un’agricoltura più ecologica, lenta e locale potrà essere la soluzione a molti problemi. Quando i contadini selezionavano le sementi il loro criterio era favorire le piante che avevano bisogno di meno lavoro possibile. Questo è un ottimo criterio! Non solo: lo stesso lavoro di selezione spesso era fatto semplicemente dalla natura. Fare il meno possibile vuol dire che di molte cose per le quali oggi ci preoccupiamo se ne occupava la natura: come il concime, la difesa dai parassiti, la semina. Paul Faulkner, noto studioso della conservazione del suolo, parlando dell’aratura su grandi estensioni diceva: “abbiamo creato dei problemi solo per il dubbio piacere di risolverli“.
Fino ad un secolo fa c’erano centinaia di varietà di cavoli, di pomodori, di zucche,… Ogni territorio aveva sviluppato delle varietà che crescevano facilmente in quel terreno e i contadini ne erano gli attenti custodi. Inoltre quelle varietà erano in continua evoluzione assieme all’ambiente. Sì, perché non vi ho ancora detto che gli ibridi F1 in alcuni casi sono sterili e comunque per la natura dell’incrocio i semi che derivano da una pianta F1 non hanno le caratteristiche della pianta madre, quindi il commerciante si assicura anche il mercato delle sementi ogni anno e il contadino non può diventare autosufficiente.
Oggi alcune persone hanno iniziato ad essere più consapevoli. Esistono associazioni in tutta Italia e in tutto il mondo che si occupano di conservare e riprodurre le sementi antiche e locali, per garantire in futuro la possibilità di ritornare ad un’agricoltura naturale.
Questo è l’appello: usate sementi adatte al vostro territorio, se siete coltivatori entrate in contatto con le associazioni che promuovono un’agricoltura biologica e diversificata, potete chiedere a loro se hanno le sementi giuste per voi! Ci sono tante cose che si possono fare in merito, ecco alcune associazioni che se ne occupano in Italia:
- Sementi indipendenti.
- Civiltà contadina.
- Rete semi rurali.
Articolo di Giorgio Avanzo
Ciao Giorgio
Utilissimo e completo! Grazie :)
Buongiorno,
sono uno studente magistrale di Agraria, possiedo un orto ed amo coltivare le orticole per hobby. Seguo il vostro sito da molto tempo e lo trovo molto bello, un buon sistema di divulgazione delle informazioni aperto a tutti. Ora però mi sembrava giusto sottolineare che nonostante all’inizio avete dichiarato di “non volere demonizzare gli F1” agli occhi di un lettore comune lo avete fatto. Quello che traspare é che le aziende sementiere fanno F1 obbligando il povero agricoltore a non essere possessore dei propri semi ed a fare un sistema di agricoltura non sostenibile. Secondo me questa é malainformazione in quanto si dovrebbe spiegare ai più estranei del mondo “agro” che esistono diverse agricolture: quella per sfamare il mondo (in cui vanno benissimo gli F1) e quella invece per farsi l’orticello sotto casa o fare produzioni di nicchia per una fascia di clienti più ricchi (l’agricoltura su cui si punta in Italia). Secondo me é importante sempre per divulgare buona informazione la trasparenza e l’onestá di dire “gli F1 hanno senso in un sistema di agricoltura integrata ed intensiva ma non nel vostro orticello così come non ha senso usare moltissimo gli agrofarmaci per due cavoli”, senza demonizzare nessuno. Ci sarebbero poi altre cose su cui parlare e confrontarsi ma non lo faccio ora se no questo commento diventa un papiro lunghissimo.
Spero di essere stato costruttivo e d’aiuto.
Vi auguro una buona giornata.
Mattia Sibilia
Buongiorno Mattia, grazie per la discussione e per i complimenti al sito. Non sono d’accordo col tuo giudizio su questo articolo, che ritengo tra i migliori pubblicati di recente su Orto Da Coltivare, ma hai fatto benissimo a scriverlo schiettamente. Per informare bisogna dare informazioni, ma è utile anche dare una chiave di lettura. A mio parere è quello che Giorgio ha fatto nel testo, argomentando con equilibrio e chiarezza le sue posizioni. “Non demonizzare” significa avere un punto di vista privo di mistificazioni o prese di posizione dogmatiche, ma non significa non avere un giudizio proprio. Gli ibridi f1 e la selezione varietale non fanno nulla di male in sé, ma appartengono a un sistema che è fondato su logiche che non condivido, e penso che Giorgio le abbia messe in luce correttamente nell’articolo. Il fatto che servano necessariamente F1 e agrofarmaci per sfamare il mondo è un tuo parere, su questo non mi trovi d’accordo. Un’altra agricoltura è possibile, sia nel piccolo orto che in aziende da reddito.
@eva grazie ;)
@mattia grazie per il commento. Io condivido quello che ha scritto Matteo, inoltre ti lascio un estratto da un libro che ho appena letto, Verde Brillante di Stefano Mancuso. Per avere un altro punto di vista:
“La necessità di una visione sistemica cui hai fatto cenno è un tema fondamentale, direi anch’esso frutto dei tempi moderni. Quando i valori della modernità sono sbagliati vanno corretti.
L’estrema specializzazione nelle conoscenze, per citarne una, ci ha portato a non percepire più l’unità degli esseri viventi e dei loro rapporti. Ti faccio un esempio. Se oggi dovessi indicarti qualcuno che conosce le piante, difficilmente ti indicherei una persona che di mestiere fa ricerca sulle piante. Un mio collega in poche parole. Sembra un paradosso che si risolve facilmente se pensi che oggi chi studia il mondo vegetale non è più il tipico signore o signora un po’ noiosi alla continua e appassionata ricerca di piante nel loro ambiente naturale. Macchè, queste persone sono in via d’estinzione. Ormai ce ne sono così poche che dovrebbero essere protette da leggi speciali!
La stragrande maggioranza di chi si occupa di organismi vegetali oggi è un biologo molecolare. Si tratta di scienziati che non studiano le piante nella loro interezza, come esseri viventi dotati di una vita articolata e complessa, ma al contrario indicavano singoli aspetti di relazioni genetiche o interazioni molecolari che potrebbero, e sono, studiati nei lieviti, nell’uomo e nelle piante. Si tratta di studi fondamentali e necessari ma che difficilmente influenzano e gettano nuova luce sulla concezione stessa che noi abbiamo degli organismi vegetali e della loro posizione nel mondo.
Oggi se abbiamo necessità di capire davvero cosa fa una pianta, di cosa ha bisogno, quali sono le sue relazioni con le altre piante o con gli animali, è bene rivolgersi ad una persona che coltiva, le alleva e ci vive assieme, anziché un biologo molecolare, che, per sua natura, non studia l’insieme, l’unità dell’organismo e le sue relazioni naturali.
Questa estrema specializzazione è una diretta conseguenza dei canoni introdotti dalla modernità. Da una parte ci ha condotto a scoperte scientifiche di enorme portata, permettendoci di approfondire le conoscenze come mai era stato possibile prima; dall’altra parte, però, ci ha del tutto sviato, allontanandoci dallo studio unitario della vita. Questo ci rende, paradossalmente, meno capaci di un tempo di teorizzare – attività cui può dedicarsi solo chi ha un orizzonte ampio. Così l’enorme massa di piccole informazioni che proviene oggi dalla ricerca rischia spesso di rimanere inutilizzata, dal momento che non riusciamo a inquadrarla in una visione più estesa. Perché gli esseri viventi – dovrebbe essere superfluo ripeterlo ancora – non sono la somma delle singole reazioni che li compongono, ma qualcosa di molto più complesso.
Se poi allarghiamo questo ragionamento dal singolo individuo all’intero ecosistema, possiamo renderci conto della necessità urgente che abbiamo di riappropriarci di un metodo più sistemico per la comprensione di quanto studiamo.”
– Stefano Mancuso, dal libro “Biodiversi” suo e di Carlo Petrini.
Questo approccio lo troviamo anche espresso più volte da Fukuoka, il padre dell’agricoltura naturale.
*mi correggo il libro è “Biodiversi” come scritto a fine citazione e non “Verde Brillante”
Buonasera Giorgio e Matteo, grazie delle risposte e del dibattito. Sono d’accordo con voi sulla necessità di avere una visione più olistica in generale ed ho anche io dei dubbi sulla direzione in cui la “società moderna” sta andando, ovvero tendere sempre al di più, di più (nota bene non solo in agricoltura, ma in molti aspetti della nostra vita quotidiana). Dico solamente che allo stato attuale delle cose, noi italiani possiamo parlare di agricolture biologiche e biodinamiche solamente perché abbiamo delegato la produzione di cibo a paesi terzi, se dovessimo chiudere le frontiere domani non ci sarebbe abbastanza cibo per tutti, questo non è un parere (http://www.fao.org/faostat/en/#data/TP se si selezionano le voci “crops and livestock products” e in seguito “import and export quantities” si vede che l’import per i maggiori “food” è tremendamente più alta dell’export). Io non sono contro il biologico, o modelli low input, anzi ritengo siano fondamentali ora per le nostre campagne in quanto grazie al prezzo superiore dei prodotti bio che le aziende riescono a spuntare, queste non vengono spazzate via dall’economia di scala; se chiudessero tutte ci sarebbero delle ripercussioni gravissime sul nostro bellissimo territorio. Secondo me è fondamentale essere ben coscienti di questo oggi.
Termino provando ad elencare i dubbi miei e di molti sul tema “agricoltura biologica e soddisfacimento della domanda di cibo in una popolazione mondiale in aumento vertiginoso”: Premessa sto parlando dell’agricoltura professionale e non hobbistica.
– rese minori del bio e qualità organolettica paragonabile a molti prodotti non bio (NB italiani)
– problema dell’avere meno agrofarmaci a disposizione e quindi dell’utilizzo massivo dei pochi permessi es. rame che essendo un metallo pesante si accumula nel terreno (oltretutto la quantità permessa è sempre più in diminuzione). Esempio che non ha la pretesa di essere totalizzante, ho conosciuto diversi melicoltori e tutti sforano con i limiti di rame permessi.
– problema che il consumatore bio vuole prodotti esteticamente perfetti al pari dei non bio
– problema della semente conciata e quindi si va in deroga
– problema del letame biologico che non c’è per tutti e si va in deroga
– problema dei possibili conflitti di interesse tra controllore e controllato, ovvero gli ispettori che controllano che le aziende a regime bio facciano veramente bio sono pagate dalle stesse aziende controllate.
– tendenza comune degli agricoltori e dei consumatori a rifiutare tutto ciò che abbia a che fare con la “ricerca scientifica e la genetica” perché ritenuti non naturali senza rendersi conto che tutto quello che ci circonda non è naturale se per naturale intendiamo “non influenzato dall’uomo”: non sarebbero naturali i pomodori, le mele, le banane e la maggior parte dei prodotti che consumiamo. Detto questo da quando l’uomo coltiva le piante ha selezionato piante con caratteristiche letali per queste come per esempio i cereali che hanno la granella che non si stacca dal rachide (come fa a sopravvivere il frumento se non dissemina i propri semi?), come la selezione di piante che producono meno metaboliti secondari di difesa rendendole “più buone” per il consumo umano, peccato che così diventano più buone anche per insetti e patogeni vari e così nasce la necessità di proteggere queste piante che abbiamo reso dipendenti da noi e questo si fa con gli agrofarmaci o con la genetica e le varietà resistenti frutto del miglioramento genetico operato dai breeders.
Secondo me il futuro di un biologico serio è tutto genetico, ovvero migliorare geneticamente le piante (che non significa solo fare OGM) in maniera tale che riescano a difendersi meglio anche senza bisogno di molti agrofarmaci. Es. già ai giorni nostri ci sono varietà di vite resistenti alla peronospora.
Mi scuso se non sono riuscito ad argomentare i punti sopra elencati ma purtroppo questo è un limite di questo mezzo virtuale. Spero di incontrarvi dal vivo prima o poi per poter discutere meglio di argomenti attuali come questo e perché no, chiacchierare anche sulla nostra passione verde dell’orto.
Una buona serata a tutti
Mattia
Ciao Mattia, anche secondo me sarebbe molto meglio incontrarsi dal vivo e magari discutere davanti a una birra oppure a un buon bicchiere di vino. Certamente l’Italia importa molto, spesso anche a sproposito, ma penso che un’agricoltura possa essere produttiva anche riscoprendo altri metodi che siano rispettosi dell’ambiente, quindi puntando su biodiversità e cura del suolo piuttosto che su fertilizzazione al bisogno e monocoltura. Detto questo tu poni alcuni punti che certamente sono problematici, la direzione però a mio parere dovrebbe essere quella di sanare le storture, perfezionando il sistema, piuttosto che dubitare della possibilità di avere un’agricoltura più sana (anche professionale). Sono anche io d’accordo sul fatto che piante resistenti alle avversità sono di grande aiuto alla coltivazione biologica (spesso vale la pena anche riscoprire varietà antiche che prima degli agrofarmaci erano preferite proprio per questa caratteristica), ma penso che il primo punto sia nel curare le caratteristiche del terreno, avvalendosi anche dell’aiuto naturale (ma attivabile anche con un intervento umano) di microrganismi interessantissimi (vedi EM, micorrize).
Articolo ben strutturato ed utilie,motiva alla salvaguardia del proprio territorio è valorizzare le culture locali.
Motivo per le nuove generazioni.
I miei più sentiti complimenti.
Buongiorno, ho letto solo oggi questo vostro articolo veramente interessante.
Alla luce dell’aumento esponenziale del costo del petrolio, cade anche l’ultimo alibi per proseguire con una agricoltura industriale basata sul petrolio e prodotti derivati da esso.
Speriamo che ci sia l’intelligenza per trasformare una difficoltà in una opportunità.
Grazie
Gabriele