Chi insegna in una scuola dell’infanzia o… elementare, istituzionale o parentale che sia, decide spesso di realizzare un orto didattico.
L’entusiasmo dei genitori e della comunità è garantito: costa tutto sommato poco, implica il rapporto dei piccoli con il cibo, con la salubrità del gioco all’aria aperta, con i ricordi d’infanzia dei nonni (“qui una volta era tutta campagna”), con l’amore per tutto ciò che vive, in coerenza con i nuovi valori ambientali. L’infanzia è già molto attratta dall’orto, più che avvicinarla alla Natura non ne andrebbe allontanata.
Ma le implicazione dell’orto didattico potrebbero non essere tutte rose e fiori; il successo o l’insuccesso dell’iniziativa dipendono innanzitutto da come essa viene affrontata dagli insegnanti, ma anche dalla burocrazia kafkiana propria dell’istituzione scolastica.
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L’orto didattico deve essere un orto vero
La definizione “didattico” può diventare un alibi per celare una incapacità di fatto di portare a completamento un’attività specifica. Spesso si ritiene irrilevante ciò che avviene dopo la realizzazione iniziale dell’orto: non si dà alcuna importanza al destino delle piantine e dei semi. Sono invece convinto che l’utilità di questi progetti sia legata proprio al raccolto che si ottiene e non alle sole fasi di avvio.
Molti orti nati a scopo didattico volgono presto in condizioni di abbandono, miseri e fatiscenti dopo gli entusiasmi iniziali, ma soprattutto dopo le vacanze estive.
Di fronte a quei tristi ortaggi radi e annichiliti, alla mia domanda “Ma questo orto è seguito da qualcuno, ha mai prodotto qualcosa?”, ecco la risposta un po’ risentita: “Certo che no: era un orto didattico”.
Insomma, il più delle volte l’orto didattico viene concepito – nelle buone intenzioni di chi lo intraprende – come una propedeutica esperienza “formativa”, “emotiva”, “psicologica”, “relazionale”, “sociale”, “terapeutica” senza che ciò implichi necessariamente la produzione di una carota, aspettativa principale da una coltivazione.
Forse nella prospettiva di abbandono dell’orto è meglio portare i bambini a fare una bella passeggiata nel bosco o una partita di pallone o di pallavolo.
L’orto non è un pretesto per far stare i bambini e le bambine un po’ all’aria aperta, è una scuola di vita.
Il potenziale educativo dell’orto
Nei decenni ho avuto modo di vivere tante esperienze con la prima età; ad esempio nell’Orto Elementare di Angera, sul lago Maggiore, tra il 2015 e il 2017 sono passati almeno quattrocento tra bambini e bambine e non si è mai posto il problema di proteggere gli ortaggi dal giocoso calpestio. Il loro principale desiderio era di stare scalzi sulla pacciamatura, di porre i semi e le piantine nella terra e di raccoglierne poi i frutti.
Penso che solo un atteggiamento cautelativo dell’adulto nei confronti dei più piccoli possa indurre un comportamento maldestro e dipendente, laddove per Natura essi sono esseri competenti e in grado di adeguarsi spontaneamente alla realtà viva intorno a loro, soprattutto quando l’orto è veramente in armonia con la Natura, com’è appunto un Orto Elementare.
L’orto ha un immenso potenziale educativo: può accompagnare una scoperta sensoriale anzitutto tattile, legata all’uso delle mani, può rinforzare e sviluppare quelle capacità motorie atte a stimolare un’intelligenza e una creatività concrete. Con l’atto del coltivare si dà all’infanzia la possibilità di vedere una realtà alternativa agli esempi ai quali la sottopone ogni giorno questa società malata: le insalate non crescono già lavate, tagliuzzate e pronte nei sacchetti; i porri non nascono nella vaschetta di polistirolo avvolta nella plastica trasparente; le patate non vengono colte già fritte; le carote e le barbabietole hanno addirittura le foglie.
È importante, a mio parere, confermare sin dagli albori di un’esistenza che non vi è alcuna consequenzialità tra il packaging e la sanità, qualità quest’ultima dovuta semmai all’aver raccolto poco prima la verdura nell’orto con ancora tra le foglie i fili di fieno della pacciamatura, a dimostrazione che la vita è migliore quando non è asettica. Date a un cucciolo d’Uomo la possibilità di scegliere se rotolarsi in una pozzanghera fangosa o sterilizzarsi le mani con un gel igienizzante e vi dimostrerà di sapere cosa sia veramente sano per lui. E per noi.
Qualche anno fa ho avviato un Orto Elementare di circa 50 m2 in un asilo sedicente steineriano; i genitori e i/le bambini/e sono riusciti a portarlo in produzione nell’arco dell’estate. Inaspettatamente la preside ha impedito, con modi piuttosto bruschi, che le zucchine, i peperoni, le insalate e il resto venissero cucinati nella mensa: non vi erano garanzie riguardo i presidi sanitari attribuiti al packaging per il trasporto di dieci metri (all’interno del cortile) tra l’orto e la cucina e temeva perciò i controlli delle autorità sanitarie. Così hanno continuato ad accumularsi ogni giorno nei cassonetti le circa venticinque cassette di plastica e le vaschette in polistirolo provenienti dalle ditte appaltatrici incaricate di portare le verdure da aziende esterne. Le verdure fresche dell’orto sono state sottratte di sotterfugio dai genitori con la complicità di alcune maestre per poterle almeno consumare a casa.
Il risultato di decenni di scuola istituzionalizzata è che oggi molti ventenni non hanno mai visto il baccello di una fava e si stupiscono quando gli mostri una pianta di ceci: “Ah, è fatta così?”.
L’Orto Elementare didattico
Altrettanto importante è la modalità con la quale si coltiva un orto didattico, anche se ispirato alle pratiche definite “biologiche”.
Non credo sia formativo svolgere attività faticose e violente come il vangare o lo zappare, che riducono la terra a sterili zolle e polvere; lo stesso vale anche per il pantano inospitale causato dallo spreco d’acqua dell’irrigazione. Imporre gli stivalini dimostra solo qual è il retaggio culturale legato a un orto zolloso e pieno di insidie.
A questo aggiungo lo spargere nell’orto concime proveniente da stalle dove gli animali vivono rinchiusi. Lo sterco animale pone il fanciullo di fronte a un dato di fatto che viene assimilato come presupposto imprescindibile: per fare l’orto ci devono essere animali destinati allo sfruttamento e all’uccisione. Tu non li vedi, ma accetti questa realtà come data, ineluttabile, col sorriso sulle labbra tra l’entusiastica approvazione degli adulti. La violenza, l’aridità e la crudeltà di questo modello di coltivazione si ripercuoteranno per tutta la vita nella visione del mondo soprattutto dei maschietti, perché le bambine oppongono sempre una certa resistenza nel riconoscersi in questo contesto.
Un orto siffatto è un’occasione perduta per educare ad un mondo non competitivo, ma interdipendente e armonioso. In Coltivazione Elementare si riconosce l’utilità di forme di vita, come le limacce, la cavolaia, le crittogame, le erbe infestanti, che per tradizione rappresentano un nemico da uccidere.
Visto dove è andata a parare l’agricoltura attuale, tra le prime fonti di distruzione ambientale, e il mondo in generale, credo sia arrivato il momento di insegnare sin dall’asilo che uccidere non è mai giusto, che la lotta di tutti contro tutti può essere sostituita dall’interdipendenza di tutto con tutto. Le erbe sono infestanti perché ricordano i festoni fioriti che adornano, appunto, una festa.
Il concetto stesso di dover affidare la crescita delle verdure a pratiche violente è di per sé diseducativo, anche perché fissa nella mente dei piccoli l’idea che sia la nostra pesante interferenza a far crescere gli ortaggi e non i processi naturali nell’interazione tra terra, aria, calore, umidità, vita animale e vegetale in superficie e nel sottosuolo: la stessa dimensione nella quale i piccoli ancora si muovono. Se le piante non giungono a maturazione secondo Natura floride e ricche di frutti il fallimento dell’esperienza del contatto con la Natura produttiva di cibo diventa una vera e propria debacle educativa, un tradimento verso il bambino.
L’insegnamento sarà che solo gli specialisti hanno la prerogativa di fare quel tipo di cose faticose, complesse e violente per portare a termine la coltivazione; per trovare il cibo a noi restano soltanto gli scaffali illuminati dal neon obitoriale del supermercato. Il passaggio successivo è che rappresentando la Natura come imperfetta e carente si legittima la necessità di interventi esterni continui in ogni campo dell’esistenza, a detrimento della propria dignità.
Il ruolo dell’insegnante nell’orto
Chi si propone di realizzare un Orto Elementare per i pargoli dovrebbe per primo essere in grado di seminare e far crescere un’insalata libero dal retaggio dell’agricoltura tradizionale, con alle spalle almeno qualche anno di esperienza di coltivazione.
L’insegnante dovrebbe sapersi muovere con sicurezza nel proteggere la terra con un morbido, tiepido, luminoso, accogliente tappeto di fieno, dovrebbe rispettarla e neppure considerare l’eventualità di doverla ferire con una lama. Oltre alla conoscenza della pratica dovrebbe incarnare una linea filosofica coerente, perché non si può insegnare una nuova lingua senza conoscerla fino in fondo.
Gli insegnamenti profondi dell’orto a scuola
La scoperta dell’essenzialità di ogni forma di vita, nessuna esclusa, rappresenta forse il più alto momento di crescita nella formazione della morale naturale dei futuri decisori delle sorti del nostro Pianeta.
Le piante che crescono in una terra così coccolata esprimono un vigore e una gratitudine che i piccoli riconoscono, perché tali vibrazioni risuonano ancora armoniose e profonde nelle loro giovani corde. L’energia sprigionata dall’attenzione giocosa, dalla contemplazione attiva di cui i piccoli sono capaci risuona nelle fibre delle piante e nella terra, in un vero concerto senza… maestri d’orchestra.
L’orto è anche una scuola di rispetto verso se stessi nell’anarchia perfetta della Natura. A riprova di ciò ho proposto ai bambini e alle bambine di scrivere accanto ai semi interrati un’etichetta col proprio nome. Come ormai immaginerete quelle piante contrassegnate sono cresciute con una vigoria maggiore di quelle trapiantate da me e dagli altri adulti.
I raccolti che coronano il lavoro in un Orto Elementare rappresentano il premio privo di competizione, che la Natura distribuisce a tutti i propri figli. E questa lezione di interdipendenza tra tutti i viventi nell’orto i bambini la porteranno in sé per tutta la vita.
Al di fuori di questi principi la scuola è il luogo dove incidere sulla lastra di rame ancora intatta che è l’anima dei bimbi i falsi valori di una società conformista e priva di umanità. Un parcheggio per i figli affinché i genitori possano andare a farsi sfruttare in fabbrica o in ufficio.
Articolo di Gian Carlo Cappello
…..così come la penso anch’io|||| Grazie per essere riuscito a scrivere ciò che non sono mai riuscita a tradurre in parole per non dovermi misurare con la cattiveria che impera su questa nostra povera terra.
Grazie Gian Carlo
Ho acquistato il libro di Gian Carlo Cappello dopo aver visto la sua intervista sul canale “Il bosco di Ogigia” ed ho immediatamente applicato le sue indicazioni.
Per la prima volta ho visto crescere nel mio orto finocchi, broccoli e cavolfiori che non erano mai riusciti ad attecchire sul mio terreno. Non vedo l’ora che arrivi la bella stagione per vedere quali saranno i risultati del metodo.
Grazie
Interessantissimo articolo GianCarlo che condivido appieno! Io mi sto avvicinando al “non metodo” in punta dei piedi e vivo con gioia infantile la crescita delle mie prime piantine❤️❤️ Ho un progetto che vive ardente nel mio cuore è che vedrà la luce qualche anno: aprire un centro per bimbi con disturbi dello spettro autistico, ma anche per bimbi normodotati, per riavvicinarli alla Terra e alla sua sacralità, nella certezza che l’Amore della Madre possa aiutarli a radicarsi e a ritrovare la propria essenza.
Grazie Giancarlo per avermi avvicinato a questo metodo. Farò tesoro dei tuoi insegnamenti e li metterò in pratica per donarli agli altri.
Claudia A.?
Grazie Claudia, ti auguro di portare a termini con successo e tanta gioia il tuo progetto!