Il rame si usa da oltre un secolo in agricoltura: i prodotti rameici sono un classico della difesa fitosanitaria di ortaggi, vigne e frutteti, i primi utilizzi nella difesa delle colture risalgono al 1882 e da allora il rame, detto anche verderame, non è mai stato abbandonato.

I trattamenti rameici risultano ammessi in agricoltura biologica dove trovano impiego nell’arrestare il propagarsi di malattie fungine e batteriche sotto forma di vari composti e formulati. Tuttavia non tutti sono d’accordo sul fatto che un’agricoltura veramente biologica ricorra all’uso del rame e il motivo di questa diffidenza è legato ad alcuni rischi che l’uso eccessivo di rame comporta sull’ambiente e gli effetti che può avere sul terreno.

verderame

Per questo motivo ci sono comunque delle limitazioni al suo utilizzo e prima di approcciarvisi è importante conoscere i prodotti, come agiscono, come si usano e quando. Vediamo quindi in questo articolo quali sono i prodotti rameici più noti e come farne un utilizzo parsimonioso e ragionevole.

Principali prodotti rameici

Sono molti i prodotti commerciali registrati in Italia, ma bisogna prestare attenzione: in alcuni di essi il rame è miscelato ad altri fungicidi, rendendone l’utilizzo proibito in agricoltura biologica certificata e sconsigliato comunque in quella non certificata che intende operare in modo analogo o in piccoli orti famigliari che vogliano ottenere verdure naturali. Qui di seguito una panoramica dei possibili trattamenti anticrittogamici biologici a base di rame in uso attualmente in agricoltura.

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La poltiglia bordolese

La poltiglia bordolese è un prodotto rameico storico che prende il nome dalla città francese dove fu sperimentata per la prima volta. Contiene solfato di rame e idrossido di calcio in un rapporto di circa 1:0,7-0,8, ed ha un colore azzurrino ben visibile sulla vegetazione trattata. Le proporzioni tra solfato di rame e idrossido di calcio possono anche spostarsi: se si aumenta il solfato di rame la poltiglia diviene più acida ed ha un effetto più pronto ma meno durevole nel tempo, mentre con una poltiglia più alcalina, ovvero contenente una maggiore dose di idrossido di calcio, si ottiene l’effetto contrario, cioè meno pronto ma più persistente. Per evitare sgradevoli effetti fitotossici è consigliato comunque utilizzare una poltiglia a reazione neutra, data dalle proporzioni indicate sopra, e che di solito è quella che si trova nelle preparazioni commerciali già miscelate e pronte all’uso.

Ossicloruro di rame

Gli ossicloruri di rame sono 2: l’ossicloruro di rame e calcio e l’ossicloruro tetraramico. Quest’ultimo ha un titolo di rame metallo variabile tra il 16 e il 50% e la sua azione è generalmente più pronta. Il primo contiene dal 24 al 56% di rame metallo e risulta più efficace e più persistente dell’ossicloruro tetraramico. Entrambi comunque sono i migliori prodotti rameici da usare contro le batteriosi.

Idrossido di rame

Ha un contenuto di rame metallo pari al 50%, ed è caratterizzato da una buona prontezza di azione, e una altrettanto buona persistenza. Infatti è composto da particelle aghiformi che aderiscono bene alla vegetazione trattata, ma per lo stesso motivo presentano il rischio di fitotossicità.

Solfato tribasico di rame

Si tratta di un prodotto molto solubile in acqua, ha un titolo di rame metallo basso (25%) ma è abbastanza fitotossico sulle piante per cui bisogna stare attenti alle dosi e alle modalità di utilizzo.

Modalità di azione del rame

L’attività anticrittogamica del rame deriva dagli ioni rameici, che liberati nell’acqua e in presenza di anidride carbonica, provocano un effetto tossico sulle spore dei funghi patogeni, iniziando dalle loro pareti cellulari. Le spore di fatto sono bloccate nella loro germinazione.

Il rame non penetra dentro i tessuti vegetali e infatti nel gergo tecnico si dice che non è un prodotto “sistemico” ma di copertura e funziona realmente solo sulle parti vegetali coperte dal trattamento. Man mano che la superficie fogliare si espande crescendo e i germogli si sviluppano, queste nuove porzioni vegetali sono quindi scoperte dal trattamento ed esposte eventualmente agli attacchi patogeni.

Questo è uno dei motivi per cui nelle colture professionali si eseguono più trattamenti durante la stagione vegetativa, soprattutto dopo una pioggia prolungata che crea le condizioni base per l’instaurarsi della malattia.

Quando usare il rame

Il rame si utilizza durante la stagione vegetativa sulle parti verdi colpite di alberi da frutto, vite, olivo e ortaggi. Nel frutteto e nella vigna lo si può usare anche alla caduta delle foglie per debellare le forme svernanti di corineo, monilia, peronospora della vite e altri funghi comuni.

Le avversità da cui protegge

Ad esclusione dell’oidio, i prodotti a base di rame sono potenzialmente utilizzabili contro vari patogeni, coprendo la gran parte della malattie dell’orto e delle malattie del frutteto: peronospore di vite ed orticole, batteriosi, septoriosi, ruggini, alternariosi e cercosporiosi delle piante orticole, cicloconio dell’olivo, colpo di fuoco batterico delle pomacee e altri ancora.

Quali colture si trattano col rame

Sulla vite coltivata in modo biologico è considerato irrinunciabile contro la peronospora, mentre nell’orto previene la peronospora di patate e pomodori e patologie a carico di altre specie. Nel frutteto il rame può essere sostituito in vari casi, per esempio contro la bolla del pesco o la ticchiolatura di melo e pero gli si può preferire il polisolfuro di calcio, ma trova comunque un grande impiego contro queste e varie altre patologie come ad esempio il corineo. Il rame può essere utilizzato anche contro varie ornamentali affette da patologie, come la ticchiolatura della rosa.

Come si usa: modalità e dosaggi

I prodotti rameici si utilizzano con diluizione in acqua e rispettando scrupolosamente le dosi e le indicazioni riportate sulle etichette delle confezioni commerciali acquistate.

Il trattamento viene nebulizzato con pompa irroratrice o atomizzatore a spalla.

A titolo di esempio, se sulla confezione viene indicato di usare 800-1200 grammi di prodotto per ogni ettolitro di acqua, si calcola che per trattare un ettaro servono circa 1000 litri di acqua, ovvero 10 ettolitri con 8-12 kg di prodotto. Questo non significa che stiamo superando con un solo trattamento le dosi di 4 kg di rame/ha/anno (limite massimo consentito in agricoltura biologica), perché quello che conta è il titolo di rame effettivo. Se il titolo di rame metallo è il 20%, con 10 kg di prodotto distribuiamo 2 kg di rame metallo e ciò significa che al massimo potremo fare 2 trattamenti di questo tipo in tutto l’anno. Per un piccolo orto o frutteto il calcolo è lo stesso e cambiano solo le proporzioni (es: 80-120 grammi di prodotto/10 litri di acqua).

Tossicità e dannosità per l’ambiente

Il rame effettivamente non è un prodotto innocuo e bisogna essere al corrente degli effetti che può provocare nell’agroecosistema. Sulle piante il rame può provocare degli effetti fitotossici, dando in alcuni casi i sintomi di clorosi ferrica (ingiallimenti) o bruciature e rugginosità sulla buccia di pere e mele.

Il rame non subisce una degradazione e dalla vegetazione cade al suolo con la pioggia che lo dilava, e una volta nel suolo è scarsamente degradabile, si lega alle argille e alla sostanza organica formando spesso composti insolubili. Dopo ripetuti trattamenti il rame tende ad accumularsi, causando un effetto negativo sui lombrichi e su vari altri microrganismi terricoli. Per questo motivo le aziende agricole biologiche certificate hanno dovuto rispettare il limite all’utilizzo di 6 kg/ha per anno di rame metallo, limite che comunque dal 1 gennaio 2019 passa a 4 kg/ha/anno per tutti.

Nel frutteto è fondamentale evitare i trattamenti durante la fioritura, a causa del loro impatto negativo sulle api e gli altri insetti utili, sui quali il rame presenta una certa tossicità.

Inoltre dobbiamo anche considerare il tempo di carenza, ovvero il tempo che deve intercorrere tra l’ultimo trattamento e la raccolta dei prodotti, che è di 20 giorni e toglie la convenienza ad usarlo per colture a ciclo breve o a raccolta frequente. Per fortuna sono stati anche immessi nel mercato prodotti più leggeri a tempi di carenza ridotti.

Alternative al rame

Un obiettivo della ricerca in agricoltura biologica è quello di individuare sempre più alternative al fine di ridurre la quantità di rame metallo nei suoli. Per “rame metallo” si intende proprio la quantità effettiva di rame, dato che un prodotto contiene anche altre sostanze in % diverse.

Di alternative al rame con effetti meno impattanti sull’ambiente ce ne sono svariate, ma devono essere usate con molta tempestività e con un approccio basato sulla prevenzione.

Ad esempio si possono fare trattamenti preventivi con macerati o decotti di equiseto, che stimolano le naturali difese delle piante, e sulla vite pare che anche le tisane di salice abbiano effetti di prevenzione contro la peronospora. A questi prodotti si aggiungono anche gli olii essenziali di aglio e finocchio e quello di limone e pompelmo, entrambi ad interessante funzione anticrittogamica. Questi prodotti sono particolarmente cari all’agricoltura biodinamica, ma anche gli agricoltori biologici “normali” potrebbero provarli e/o intensificarne gli usi e a maggior ragione si consiglia di farlo a chi coltiva per l’autoconsumo.

Inoltre citiamo le zeoliti, polveri di rocce con cui si eseguono trattamenti con certi effetti anticrittogamici ed anti insetti dannosi.

Insomma, il rame non è l’unica soluzione a tutte le malattie delle piante ed è bene ricorrervi con parsimonia e provando altre strade.

La normativa sull’uso del rame nel biologico

I prodotti a base di rame compaiono nell’elenco degli antiparassitari e prodotti fitosanitari ammessi dell‘allegato II del Reg CE 889/08, che contiene le modalità applicative del Reg CE 834/07, il testo di riferimento sull’agricoltura biologica valido in tutta la UE.

Dal 2021 i nuovi regolamenti europei sull’agricoltura biologica saranno il Reg UE 2018/848 e il Reg. UE 2018/1584, testi già usciti ma non ancora in vigore. Nell’allegato II del Reg. UE 2018/1584 viene riportata ugualmente la possibilità di utilizzo del rame, come nel precedente: “Composti del rame sotto forma di idrossido di rame, ossicloruro di rame, ossido di rame, poltiglia bordolese e solfato di rame tribasico”, e anche in questo caso, nella colonna a fianco, viene sancito: “Massimo 6 kg di rame per ettaro l’anno. Per le colture perenni, in deroga al paragrafo precedente, gli Stati membri possono autorizzare il superamento, in un dato anno, del limite massimo di 6 kg di rame a condizione che la quantità media effettivamente applicata nell’arco dei cinque anni costituiti dall’anno considerato e dai quattro anni precedenti non superi i 6 kg”.

Tuttavia, il 13 dicembre 2018 è uscito il Regolamento UE 1981, che ha per oggetto l’uso dei composti a base di rame in agricoltura (non soltanto biologica). Quali importante novità, è stato definito che il rame è una “sostanza candidata alla sostituzione”, che si prevede cioè che in futuro non venga più autorizzata per uso agricolo. Inoltre, il limite di utilizzo viene fissato a 28 kg/ha in sette anni, ovvero una media di 4 kg/ha/anno: una restrizione ancora maggiore che riguarda tutta l’agricoltura e a maggior ragione quella biologica. Questa novità entrerà in vigore dal 1 gennaio 2019.

Una visione olistica

La normativa europea fa però intendere chiaramente che si dovrebbe ricorrere ai prodotti presenti negli allegati solo se e quando necessario, e innanzitutto lavorare sulla prevenzione e sul rispetto dei principi di base: rotazioni, cura della biodiversità, scelta di varietà resistenti, uso di sovesci, irrigazioni corrette e tanto altro, ovvero l’adozione delle buone pratiche che rendono un contesto agricolo, piccolo o grande, resiliente e meno dipendente dagli input esterni.

Anche in un orto o in un frutteto privato si possono applicare le buone pratiche come: irrigazioni a goccia per diminuire le probabilità che le piante si ammalino, scelta di fruttiferi antichi più resistenti alle patologie, uso di macerati e consociazioni tra ortaggi. Con il rispetto di tutte queste accortezze la probabilità di dover usare il verderame si riduce sensibilmente.

Articolo di Sara Petrucci

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