Ci sono tante persone che per passione o per necessità pensano di dedicarsi all’agricoltura come professione, coltivando per il mercato e non solo per autoconsumo. La scelta di aprire l’azienda agricola secondo il metodo biologico è particolarmente interessante, sia per ragioni etiche che commerciali.
Il fatto di coltivare secondo metodi naturali significa rispettare l’ambiente, al tempo stesso poter vendere i propri prodotti agricoli come biologici può essere un vantaggio concreto, poiché permette di valorizzare meglio la propria produzione.
Per poter vendere ortaggi e frutta bio non basta la pratica colturale, è necessario che la propria coltivazione sia certificata come biologica e questo comporta un iter burocratico e anche delle spese. In particolare sarà necessario rivolgersi a un ente certificatore e predisporre dei documenti.
Piccola o grande che sia, un’azienda agricola orientata alla vendita deve rispettare adempimenti di varia natura, generici e specifici della certificazione biologica. Prima di diventare agricoltori biologici a tutti gli effetti, è importante quindi sapere che cosa bisogna fare e quali impegni affrontare.
Abbiamo pensato di dedicare una serie di articoli ad approfondire come aprire e condurre un’azienda biologica, con lo scopo di fare informazione corretta sul tema e dare un’infarinatura a chi fosse interessato a fare agricoltura da reddito. In questo articolo vedremo in sintesi i primi passi da muovere per avviare un’azienda agricola biologica. Molti degli argomenti e degli aspetti normativi legati all’agricoltura biologica verranno poi sviluppati più nel dettaglio prossimamente, in questa sede ci concentriamo sulla fase di avvio dell’attività.
Nota bene: i riferimenti normativi che trovate in questo post, come la descrizione dell’iter sono aggiornati a novembre 2023, quindi occorre verificare poi eventuali variazioni nella normativa e tenersi aggiornati.
Indice dei contenuti
- Avviare un’azienda agricola
- Ottenere la certificazione biologica
- Iter di certificazione
- La visita di avvio dell’ente certificatore
- Visite successive
- La conversione al biologico: tempistiche
- Come abbreviare il periodo di conversione
- La certificazione di gruppo: un’opportunità per i piccoli produttori
- Cosa fare operativamente in azienda
Avviare un’azienda agricola
Se si dispone di un terreno e si desidera avviare un’attività agricola professionale, bisogna affidarsi ad un CAA (Centro di Assistenza Agricola) per l’apertura del fascicolo aziendale e per le altre pratiche necessarie a qualunque azienda agricola.
Questo vale per chiunque pensi di fare agricoltura professionale, indipendentemente dalla certificazione biologica.
Ci sono uffici dei CAA diffusi capillarmente in tutti i territori, troviamo diverse realtà come CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) o Coldiretti. Sulla scelta potremmo chiedere consiglio ad alcuni agricoltori della nostra zona o prendere tutte le informazioni di persona contattando l’ente.
Ottenere la certificazione biologica
Se si intende certificare la propria produzione come biologica fin da subito, il primo passo da fare è scegliere uno degli Organismi di Controllo per il biologico a cui affidare la certificazione per la propria azienda.
Gli enti certificatori
In Italia la certificazione dell’agricoltura biologica è affidata a enti privati, che sono però accreditati da Accredia, l’Ente unico italiano di accreditamento designato dal governo.
Gli organismi di controllo per il biologico hanno il compito di controllare l’attività di tutti gli operatori certificati (non solo i produttori agricoli, ma anche i trasformatori e i commercianti del biologico) per verificare che rispettino la normativa di settore. L’agricoltura biologica è normata a livello europeo dal Reg CE 848/2018 e altri Regolamenti e per l’Italia dei Decreti Ministeriali.
Bisogna ricordare che in ambito agroalimentare c’è una vasta normativa cogente, ovvero quella obbligatoria per tutti, e accanto a questa c’è un altro tipo di normativa per l’ambito volontario, tra cui rientra la certificazione del biologico. Questo significa che nessuno obbliga le aziende a passare al biologico, ma nel momento in cui vi aderiscono, sono tenute a rispettarne tutta la normativa relativa. Di conseguenza, se un agricoltore ottiene la certificazione biologica e poi, ad esempio, utilizza di nascosto prodotti vietati dalla normativa, commette una frode.
Gli organismi di controllo si pongono a tutela del consumatore, e a loro volta sono sotto la vigilanza di Accredia e del Ministero (Masaf), i quali verificano la competenza, l’imparzialità e la serietà del loro operato.
Costo della certificazione
Assoggettarsi ad un Organismo di controllo significa iniziare a pagare una somma annuale per la certificazione, che può variare tra i diversi organismi di controllo e che dipende anche dalla grandezza e dalla complessità aziendale. Nel dubbio, conviene richiedere almeno 3 preventivi da 3 organismi diversi e scegliere quello che ci sembra più adatto alla nostra situazione.
Iter di certificazione
L’iter per certificare l’azienda biologica al biologico comincia con la notifica di avvio attività e richiede alcuni adempimenti burocratici necessari, quali PAP e piano di gestione. Scopriamo di cosa si tratta.
Notifica di avvio attività
Una volta scelto l’organismo di controllo, bisogna provvedere a compilare ed inviare la notifica di inizio attività. Di questo può occuparsi lo stesso CAA che ha aperto il fascicolo aziendale, oppure una società di consulenza del biologico, che può supportarci in modo più specifico in questa fase e anche in futuro, così come un libero professionista abilitato.
La notifica è informatizzata e per la maggior parte delle Regioni italiane si esegue sul portale Sian, il Sistema Informativo Agricolo Nazionale, mentre alcune Regioni hanno il loro proprio portale. La notifica riprende i dati delle particelle catastali del fascicolo aziendale, sulle quali è indicato il macro uso (es: frutteto, seminativo, tare, fossi, oliveto ecc.).
La notifica viene inviata telematicamente all’Organismo di controllo, che organizza così una prima visita ispettiva di avvio, e se tutto è conforme inizia il periodo di conversione.
Programma annuale delle produzioni (PAP)
Oltre alla notifica, entro i 30 giorni successivi bisogna realizzare il PAP (Programma Annuale delle Produzioni) nel quale si indica quali colture si intende realizzare ogni anno e una previsione delle loro rese ad ettaro. Per esempio, se una particella è indicata come “seminativo” possiamo specificare che in quel determinato anno intendiamo mettere il frumento o un altro cereale e indicare una stima della resa ed ettaro, che possiamo farci in base al territorio e alla determinata varietà scelta.
Non conviene stare troppo bassi sulla stima delle rese perché poi, durante i futuri controlli dell’organismo di controllo, sarebbe più problematico giustificare una resa maggiore rispetto alle previsioni che non il contrario. Se in un anno intendiamo realizzare due colture per determinati appezzamenti, possiamo indicare le successioni su quelle particelle. Nel caso degli ortaggi, spesso è possibile anche solo indicare “ortaggi misti”.
Il PAP deve essere poi presentato ogni anno, ufficialmente entro il 31 gennaio, anche se poi vengono concesse spesso delle proroghe temporali.
Piano di gestione
Oltre alla notifica e al PAP, bisogna redigere anche un piano di gestione, di solito su un formato guida che l’organismo di controllo fornisce direttamente all’operatore. Questo documento è una relazione tecnica in cui si descrive, punto per punto, tutto quello che si intende avviare e come, secondo la normativa del bio.
In pratica bisogna descrivere l’azienda, il parco macchine, le coltivazioni, il modo con cui realizzare la fertilità del terreno e la prevenzione dalle avversità, ma anche la scelta dei fornitori, la presenza o meno di contoterzisti, i trasporti, la vendita e varie altre procedure oggetto di controllo. Al Piano di gestione bisogna poi allegare altre schede come il piano di rotazioni, la scheda colturale e altri eventuali allegati specifici.
In particolare, può risultare importante la scheda delle misure precauzionali nei casi in cui, si converta al bio solo parte dell’azienda, tenendo alcuni terreni a convenzionale. In una situazione come questa di azienda mista sono necessarie misure specifiche a garantire la separazione scrupolosa delle attività condotte con i due diversi metodi.
Se, oltre alla produzione vegetale si intende anche fare trasformazione (esempio: preparazione di marmellate o conserve dalla frutta e dalla verdura che si coltivano) bisogna presentare anche il PAP delle preparazioni e redigere il Piano di Gestione preparatori.
La visita di avvio dell’ente certificatore
Una volta terminato il periodo di conversione, si ottiene il Certificato, un documento contenente la lista di tutti i prodotti vendibili dall’azienda come biologici.
Visite successive
Dopo la visita di avvio del certificatore ce ne saranno altre, nel numero minimo di una all’anno o anche di più, solitamente preannunciate per tempo.
Ogni organismo di controllo prevede anche delle visite a sorpresa, che nella pratica si traducono in visite con un preavviso breve, di circa 48 ore. Teniamo presente infatti che un ispettore deve comunque sapere di trovarvi in azienda quel determinato giorno, altrimenti farebbe un viaggio a vuoto.
La conversione al biologico: tempistiche
La conversione al biologico dura 2 anni, e per le coltivazioni arboree 3 anni.
Durante questo periodo bisogna operare rispettando fedelmente la normativa del biologico, senza però poter vendere il prodotto con questa dicitura. La conversione è una fase un po’ difficile, perché bisogna impegnarsi ed investire, ma senza beneficiare ancora dei vantaggi della certificazione.
Se l’azienda è piccola e intende legarsi prevalentemente ai mercati locali, può valere la pena utilizzare questo tempo anche per lavorare il più possibile sulla comunicazione, in modo da far conoscere ai potenziali acquirenti i prodotti ma anche la politica aziendale, l’approccio, le scelte tecniche ed etiche, in modo da iniziare a guadagnare la loro fiducia e creare un primo giro di clienti.
Non in ultimo, è bene iniziare a fare rete con le altre aziende del territorio e provare ad instaurare fin da subito un approccio collaborativo e non competitivo, atteggiamento che alla lunga ripaga. Oggi i mezzi tecnologici ci sono e conviene sfruttarli al meglio per essere visibili, comunicare quello che si fa e raggiungere in questo modo gli interessati.
Come abbreviare il periodo di conversione
In certi casi è possibile richiedere un riconoscimento retroattivo della conduzione eco-compatibile del terreno, finalizzata all’accorciamento del periodo di conversione.
Bisogna riuscire a dimostrare che quel terreno era stato incolto o gestito comunque senza uso di prodotti vietati nelle produzioni biologiche anche prima della notifica, e ciò può comportare una trafila burocratica e una spesa per il supporto di professionisti, ma se risultasse fattibile, anticiperebbe l’ottenimento della certificazione biologica.
La certificazione di gruppo: un’opportunità per i piccoli produttori
Una novità interessante del nuovo Regolamento del biologico è la possibilità delle certificazioni per gruppi di operatori (art 35 del Reg 848/2028), che consente ai piccoli produttori un risparmio mettendosi insieme.
Un gruppo di operatori è costituito soltanto da membri “i cui costi di certificazione individuale rappresentano oltre il 2 % del fatturato o del volume standard di produzione biologica di ciascun membro e il cui fatturato annuale di produzione biologica non eccede i 25.000 EUR o il cui volume standard di produzione biologica non è superiore a 15.000 EUR l’anno; oppure
-
- ciascuno dei quali ha aziende di massimo:
- 5 ettari
- 0,5 ettari, nel caso di serre, o
- 15 ettari, esclusivamente nel caso di pascoli permanenti;“
- ciascuno dei quali ha aziende di massimo:
Cosa fare operativamente in azienda
Nei prossimi articoli sulla certificazione biologica descriveremo più dettagliatamente gli aspetti normativi legati alla produzione vegetale, all’allevamento, alla trasformazione, all’etichettatura.
Il Reg 834/07 enuncia tutti i principi di base delle produzioni biologiche, mentre il Reg 889/08 entra più nel merito delle applicazioni, poi ci sono anche norme nazionali, come il Decreto Ministeriale 6793 del 2018, a fornire ulteriori specifiche.
Chi avvia una produzione biologica ha già un’idea di base di che cosa questa comporti nella pratica, ma a volte questa idea è un po’ riduttiva, e allora è bene fare chiarezza ed eliminare alcuni luoghi comuni ancora presenti.
Bisogna specificare che la certificazione biologica è una certificazione di processo, e che non offre garanzie totali di assenza di inquinamento dei prodotti da cause non dipendenti dall’agricoltore. È chiaro che se avete la possibilità di coltivare in un luogo ameno e incontaminato la vostra produzione sarà molto pulita, ma è possibile, salvo casi particolari, ottenere la certificazione anche in luoghi meno idilliaci. L’importante è rispettare la normativa e farla rispettare anche agli agricoltori confinanti, che per i trattamenti devono mantenere delle fasce di rispetto, come previsto dalla normativa del PAN, sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, valida per tutti gli agricoltori.
Sicuramente è importante imparare gli aspetti salienti della normativa e tenersi sempre aggiornati, o se si pensa di non averne tempo o voglia, almeno avvalersi di un consulente che può supportarvi in questo aspetto specifico, ed evitarvi errori anche solo di forma o “di carte” che però potrebbero comportare delle diffide da parte dell’organismo di controllo.
Articolo di Sara Petrucci
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